mercoledì 10 ottobre 2012

"Animamadre" di Nina Maroccolo: una recensione a cura di Plinio Perilli

Condividiamo una recensione al libro di Nina Maroccolo "Animamadre" (Edizioni Tracce, 2012) a cura del poeta, critico letterario e critico d'arte  Plinio Perilli:

“L’anima non puoi inumarla con la grammatica, la filosofia, gli intellettualismi boriosi”…
“Ma uno squarciavento rende panico il mio sogno, lo allucina. E fiorisce sott’acqua un melodramma anfibio”…
Un’intera, densa tramatura di archetipi, distilla, vena e suffraga questo romanzo intimissimo eppure “corale”, che di continuo ondeggia fra il sogno più inconscio e la favola popolare, il diario pedissequo di ogni giornata esiliata e affranta nella modernità, e l’omeopatica, sana dose-unica che sempre per fortuna ci riscatta l’anima e allevia i travagli indicibili della fantasia… “Le protagoniste ancillari di Animamadre patiscono la colpa, necessaria per il loro straripamento. O piuttosto, per il mio mutamento”…
Propp teorizzava e parlava della Morfologia della fiaba e delle Radici storiche dei racconti di magia: ma Nina Maroccolo evoca allo stesso modo il basilisco di Gramsci e la parabola iperborea di Wiking Jón; il Guerriero dalla rotta gola e Carmela “corpo di cerva”, donna di pece; un padre carabiniere (“Lui era lo Stato. La fiammella ardimentosa…”) e Grazianeddu, bandito galantuomo: una Sardegna ancestrale che la riporta agli anni inquieti e rapinosi dell’infanzia, e – brusca dissolvenza al presente – alla descrizione romana di un I° Maggio, strepitante e caotico, che s’illude festa di popolo e termina poi compianto, amarevole bilancio di una giovinezza resa oramai orfana dei propri stessi ideali, e di una Libertà perennemente inseguita ma annacquata nei riti beceri del consumismo.
Archetipi, sogni e parabole s’intermezzano e s’avvicendano, dunque, con una pregnanza metaforica che rende kafkiana anche l’amicizia (l’immedesimazione dialogica della protagonista), con gli strani animali che spuntano dalle ombre lunghe del libro, e per dolente, segreto arcano vi si rintanano… Le blatte di Teresa La Pubescente, perfida amica traviata; il passerotto Fëdor; il serpente Làchesis mutus terrore dei boschi, crotalo temibile ma terapeutico; le due soffuse capinere “tenui e aggraziate”, che s’affacciano e poi svolano minime e sublimi da un giardinetto domestico trasfigurato di prosa lirica... “Risalire il primo atto dello scrivere e del leggere: il latte della madre. Succhiare ed essere svezzati. Non avere più madre, né seno né latte. Conquistare l’autoalimentazione. La propria voce poetica”…
Quel colloquio con Agostino più fanciullo che santo, è una illuminazione teatrale, sensuale struggente liturgia, o il controcanto esatto dell’anima? E quelle filastrocche macerate e fiorite ai piedi del Gennargentu, sono argentee schegge vegetali, petali e spine, cabale mitiche e bacche liquorose di mirto – o già parole, formule materne e filiali al contempo di un Super-Ego che chiede al romanzo ristoro esistenziale, il fervore di un respiro affannato ma radioso d’Amore?…

Anninnìa-anninnìa - canta sa pastorella
cum boghe armoniosa.
Viola- e ninna- e nanna.



PLINIO PERILLI
Poeta, critico letterario, critico d’arte

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