venerdì 5 ottobre 2012

"Animamadre" di Nina Maroccolo: una recensione a cura di Anna Costalonga

Condividiamo con i nostri Lettori/Autori una recensione al libro di Nina Maroccolo "Animamadre", a  cura di Anna Costalonga, apparsa sul blog http://lipsiafelix.wordpress.com/
Animamadre di Nina Maroccolo è un’opera eccentrica che va avvicinata, sospendendo ogni pregiudizio, ogni categoria letteraria e di genere.
Si presenta nella forma di un diario: a scriverlo è Viola, l’io-narrante (uno dei tanti, come si vedrà nel corso della lettura). Il pretesto è la terapia, o meglio la psicoterapia: come altri illustri precedenti (vedi Italo Svevo, ma sopra tutti Giuseppe Berto, il cui Male Oscuro è infatti una delle prime citazioni) : dal diario inteso come forma terapeutica, nasce una cronaca di vita interiore, un vero viaggio letterario nella notte dell’Io.
Nina Maroccolo sceglie – o meglio sembra scegliere, più in là dirò il perché di questa precisazione – una struttura antinomica, cioè contrastante: a livello strutturale, la narrazione è sospesa fra quotidianità da una parte e oniricità e surrealismo dall'altra.
Questo porta da un lato a una prosa scarna e dall'altro a una prosa immaginifica, che lascia il posto alla poesia e perfino a pagine teatrali.
Ancora, da un lato, troviamo personaggi reali e dall'altro l’impersonificazione archetipica degli stessi in personaggi mitologici, figure letterarie e perfino animali: personaggi dell’immaginario nordico si inframmezzano a personaggi di un mondo tradizionale sardo fuori dal tempo – personaggi davvero vissuti? la domanda non ha più importanza,dal momento che occupano un posto nell’IO della narratrice;il guerriero vichingo Wiking Jon, ad esempio, figura della mitologia nordica, si accompagna alla figura di Carmela, ai canti popolari sardi, che vengono riportati quasi senza traduzione nel testo; il passero di Fjodor (Dostoevskij) fa capolino più di una volta, in maniera ricorrente nel testo, c’è perfino S.Agostino, quale alter ego letterario dell’io narrante.
Non c’è soluzione di continuità fra personaggi reali e personaggi letterari o archetipi letterari: tutti sono protagonisti della vita interiore di Viola.
In fondo, Viola è una scrittrice: la discesa nel suo IO è la discesa in una delle sue ragioni di vita, la letteratura.
È un paradosso, se ci pensiamo: Viola cerca di curare se stessa con una parte di se stessa che forse è la causa del suo stesso malessere, l’Arte.
Ma è davvero possibile curare l’IO con la letteratura, con l’Arte? O non è piuttosto fallimentare, fagocitante, causa scatenante di altre ossessioni e ansie?
La forma diaristica, nel suo continuo comporsi al momento, ci rende più che lettori, in questo caso i lettori di Animamadre diventano quasi gli stessi terapeuti di Viola, che ascoltano le sue peripezie, i suoi drammi inconsci sublimati in scene letterarie.
Insomma la lettura stessa è la terapia: mi verrebbe da dire, con un calembour, che la lettura è la terapia della letteratura.
Viola è anche lettrice: lettrice di letteratura, e quindi, di se stessa.
In quanto lettrice, Viola è anche terapeuta di se stessa.
Si mette in pratica un circolo vizioso, o meglio un buco nero, una spirale da cui l’uscita è a suo modo fallimentare.
Ma è proprio in questo fallimento personale che l’Arte sembra in fondo ricavare il suo spazio vitale.
Alcune frasi, alcuni passaggi, apparentemente ininfluenti,sono state delle vere chiavi di volta nell’apprezzamento di questo testo ricco ma difficile.
“Il diario non dichiara la realtà, è pretesto letterario” pag.152
Gli archetipi, i miti fanno coincidere letteratura e ego. Archetipi ricorrenti, quali il crotalo, il serpente, ovvero la Lachesis, figura mitologica e nome della cura seguita da Viola.
E’ proprio questa Lachesis che rende ancora una volta evidente il patto “diabolico” fra l’io-narrante e l’arte: la sua cura, l’arte, è il suo stesso veleno, esattamente come Lachesis, che cura avvelenando.
“Donna Maria infilò la mano là sotto dove si racconta un dolore. Dove si può bramare ancora nutrimento” pag.159
Trasposto su un altro piano, la cura attraverso la letteratura è un viaggio verso se stessi. Ovvero, come la descrizione di Donna Maria ci lascia intuire, cercare dentro se stessa il nutrimento, infilando lo sguardo – anzi, più di uno sguardo, una ricerca in tutti e con tutti i sensi, istintiva, quasi tattile – del sé nascosto, un sé che nasce e rimane invischiato in un magma di dolore e fantasie.
Ma perché usare la letteratura, ovvero la suggestione delle parole, ovvero perché usare la parola è causa di nuove ossessioni?
Perché ci dice più avanti nel testo, la parola è martirio.
“Con ironia beffarda, l’uomo usa la parola. Essa diviene catena di montaggio infausta; le parole accadono in processionaria, una dietro l’altra, quel tanto da sembrare forgiate da una ligia educazione. Per comprendere, troppo tardi, che la loro è un’unione distruttiva pronta a minare la corteccia esterna e lentamente intridere i centri vitali dell’organismo terrestre (..)”pag.188
E’ la catena di montaggio della parola ad ammazzare, o ad avvelenare: eppure non c’è altro scampo, non c’è altra scelta.
Ho accennato più sopra a una struttura antinomica di questo testo: ciò però non deve trarre in inganno, perché questa struttura non è in nessun modo rigida. Il termine “struttura” mi serve a identificare meglio un rincorrersi di antinomie in tutto il testo.
Ma, ripeto, questo termine trae in inganno, se siamo indotti a pensare a una struttura rigidamente speculare o simmetrica. Non è così. La non-struttura di Animamadre è piuttosto un ciclo continuo, una continua spirale che non ha un vero inizio, né una vera fine. Come d'altronde è intuibile dallo schema approssimativo che avete trovato prima.
E’ un’opera, che, proprio per la forma pretestuale usata, il diario, si rivela frammentaria senza un vero sviluppo dialettico (antefatto-svolgimento-conclusione). Questo mi fa anche pensare che la ricerca di un filo conduttore ben preciso e superficialmente evidente in un testo di prosa sia in fondo solo un’abitudine inveterata: ma non sempre necessaria, a essere sincera.
Animamadre non è quindi un testo “scorrevole”, come erroneamente viene definito nella postfazione.
Non si tratta di un romanzo, innanzitutto, perché il romanzo segue linee e sviluppi nella trama e nei personaggi ben evidenti. Ad avallo di quanto già detto sulla struttura non-struttura circolare, spiraliforme del testo, basti pensare che la fine di Animamadre è in realtà un invito alla lettura: un invito a leggere proprio quando la lettura effettiva è terminata.
Il che equivale a dire: leggere è ri-leggere, è non fermarsi alla superficie.
Lo stile non è asciutto, anzi è un continuo fiorire di immagini ricche di simboli, archetipi, analogie, associazioni.
Certo però in un punto la postfazione mi trova d’accordo: è incisivo, ma è incisivo proprio perché NON è scorrevole.
Proprio perché le parole non scorrono, non fluiscono via, ma sono scolpite e pesano come pietre, a volte.
Non è un testo quindi di lettura facile, bisogna ammetterlo. Ma questo certo è un pregio, a mio avviso. Tra parentesi, ci sarebbe da aprire una discussione sulla questione della “scorrevolezza” di un testo letterario: si tratta davvero di un pregio? O non piuttosto di un rischio d’annacquamento?

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