giovedì 5 aprile 2012

"Vertigine d'acqua" di Nicoletta Di Gregorio: una recensione di Valentino Ceneri


Sarà perché la poesia è nata insieme alla musica, ai riti  religiosi e ai miti che i versi di Nicoletta Di Gregorio mi sono sembrati più essenziali e più vicini alla semantica originaria dell’essere umano. Quella del bambino che comincia a mettersi in gioco col mondo adulto “lallando” la cantilena delle sillabe in cerca di un cenno amorevole, di un assenso da quella gestalt primitiva –occhi bocca- del volto materno. Mi appariva così il bel volto della poetessa Nicoletta, mentre i due poeti che l’affiancavano scandivano i suoi versi e mentre lei stessa con semplicità francescana profferiva le parole, espirate appena come un fruscio di foglie o come uno scorrere di ruscello, sospese nel vuoto di una semantica in attesa di un senso compiuto. Il senso che si compie nell’ascolto da parte dell’altro da sé.
Era proprio questo che ci voleva, ieri pomeriggio (29/03/12), nella saletta aperta ma raccolta della Libreria Libernauta. Scoprire il valore nascosto della fatica dei poeti. Fatica inutile, per questo mondo di uomini sepolti dai rifiuti della loro insania e dal loro odio inconscio, come avvertiva, negli anni ’80 Gunter Grass ne “La Ratta”.
Che dire degli altri due poeti?
Giancarlo Giuliani, come lui ha poi confessato, risuonava di significati compiuti, nel tentativo di trovare un riscontro ermeneutico alla sua vita. Era la sua vita che ci presentava, con lo scorrere dei versi. Versi recitati in modo pacato, con la tranquillità di un Budda che ammaestra i discepoli, nella speranza di esaurire il suo ruolo di maestro. Bella cosa, la poesia: come il fuoco si consuma nel darti calore. Non è l’Alchimia il suo destino? Gli toccherà recitare del suo archetipo, in seguito.
Marco Tornar, da par suo, esprimeva l’inquietudine dell’intellettuale deluso per non aver saputo trovare le parole giuste per dirlo. La ricerca letteraria non può che essere originata dall’insaturazione dell’essere: questa Marco la rappresenta in modo chiaro. Ed è il mestiere del critico quello che lui esercita nei versi come nella prosa, scarni ed essenziali. Come ad emettere un giudizio severo, e forse inascoltato, sulla semantica banale dei mass-media, che ogni giorno ci testimoniano la stupidità elargita a piene mani da un oscuro dio che muove l’assenso delle masse.
Toccherà ai poeti e agli scrittori suonare la sveglia mattutina.

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