martedì 9 luglio 2013

Vento di poesia: la recensione di Aldo Onorati alla silloge di Nicoletta Di Gregorio

Condividiamo la recensione al libro di Nicoletta Di Gregorio "Vertigine d'acqua" a cura di Aldo Onorati, apparsa su "Le Città", alla pagina 19, il 4 luglio 2013.
“Vertigine d’acqua” presenta un doppio registro lirico, non separabile, quantunque sia netto il diaframma: dalle alchimie d’un verso tenuto evidentemente al rigido rigore del raziocinio, a dolcissimi sortilegi di abbandoni del sentimento all’abisso del cuore. Ecco: almeno a me sembra questa la dicotomia espressiva di Nicoletta Di Gregorio. Per fare degli esempi, citerò le liriche a cui ho posto un segno a matita per sottrarle alla mia dimenticanza: “Il mio nome” (spazio bianco / che cinge la notte / memoria impigliata / nei tuoi baci di seta…), “Di un imperfetto vuoto” (tra eroismo e follia / veglia insensato unico / l’umano dolore..), “Ho coperto come falco”, in cui la parola chiave è vento, quasi un lenire il filtro d’amore dato dalla suprema assenza, che allude alla vita, appunto imperfetto vuoto fra eroismo e follia, dove le metafore sono potenti e azzardate al tempo stesso (“le tue insicurezze/ dolci e lente/ come questa pioggia”… “Il vento indaco/ del tuo sguardo”), e poi “Tacita di venti” e “Disadorna”: il vento tutto svuota e contiene (ossimoro bellissimo, sineciosi allusiva dell’esistenza, come “invalicabile fuga” e “ingenerato mistero”), quindi “Imbruma” (Imbruma / l’ombra dolce che induce / se oltre si tace / l’orizzonte a dilatare / incurva ad oriente / la voce del vento), quasi uno stacco, una pausa, un ipocorismo della narrazione lirica, dove il vento con la sua voce chiude un discorso, per riaprirlo con la riuscitissima poesia “Svela” che si conclude sempre con la parola-chiave che assume via via un significato più emblematico, ambiguo, polisemico, trascinante in questa poesia ipometrica, in cui la punteggiatura, sostituita dagli spazi e dal capoverso, si lascia immaginare non grammaticalmente, ma come problema risolto interiormente, quasi a significare che molte cose sono inutili al dire (“l’antro segreto e l’inganno” da dove nasce “il tempo della luce che ci raggiunge dove indimostrabile l’infinito crea la vita” e l’uomo non può trovare altra uscita dopo la cacciata dall’Eden: un essere senza colpa che non può espiare il suo peccato, eppure deve farlo). Altra tessitura, un po’ a sé nel contesto - ma altrettanto valida all'incanto necessario a ogni lirica - è “Incanta la scogliera”, quasi una pagina a sé, da visione che si fa paesaggio dell’anima e inafferrabile tristezza delle cose (sunt lacrimae rerum): siamo meteore, angeli legati ad appigli inesistenti, ognuno dentro il paesaggio infinito del cuore. Chissà: in questo non dichiarato amore senza sorte, l’autrice vorrebbe essere il vento, o una nuvola inebriata dalla sua furia, o l’inafferrabile dolce dolore che fa degli esseri sensibili una specie di ostriche dalle cui ferite nascono le perle. Va riletta interamente la poesia distillata di Nicoletta Di Gregorio. 
È forse più difficile e complessa di quanto la sua asciuttezza segnica vuol fare intendere: e anche qui subentra il vento a gonfiare le vele di un veliero mitico sebbene nascosto dalle onde più alte della sua stessa portata: anche questa è la poesia.

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