giovedì 25 settembre 2014

IL CELESTE CONCERTO DELLE STELLE: un saggio di Plinio Perilli per l'ultimo libro di Nicola Sciannimanico

per Nicola Sciannimanico
poeta/pittore d’ogni carezza della Luna
  Da sempre la poesia, i poeti, convocano la Luna come notturno astro di dolcezza e chiarore, emozione acquietata in un eterno e quotidiano viaggio dal corpo all’anima (e ritorno), dalla realtà al sogno, dalla prosa alla lirica, dall’oggi al domani, dal dolore alla speranza… Un Viaggio che ci rinfranca e ci redime, appunto, fin nelle fibre trasparenti dello Spirito, o nei tessuti lessicali, nella filigrana letteraria d’un linguaggio che torna a crederci, a credersi astronomo e indovino della propria poesia.
  Davvero si potrebbe infatti architettare un libro su questo fedele e armonioso satellite che ci restituisce di notte la luce del giorno, l’imperio del sole – su questa velata, radiosa ma paziente Regina d’Umiltà che appunto riconsacra, immaiuscola l’Anima nei suoi travagli, la mente nei suoi progetti, l’intera nostra esistenza nei suoi itinerari non meno estrosi che resi concreti, umanati ad ascendere, a fantasticare, ma radicati quaggiù… Lasciamo stare il canto, l’appello gnomico di Leopardi – fin troppo indagato. E perfino l’acre ironia di un poeta come Jules Laforgue (1880-1887), che dedicò a l’Imitazione di Nostra Signora la Luna (1886) quasi un suo testamento insieme poetico ed esistenziale.
  Meglio ritrovarci nel culto nobile del simbolismo gnostico di un  William Butler Yeats (1865-1939), per cui la luna, con le sue fasi, presiede non solo alla creazione, all’ispirazione dei versi, ma all’intero ciclo di coltivazione del proprio campo e mondo letterario – come si addice a un grande coltivatore di miti, immagini e leggende, are ed aure sapienziali che sono anche e al contempo piante e archetipi, nuvole e cieli, animali e palpiti d’inconscio… “Ventotto sono le fasi della luna, / La luna piena e la nuova, e le fasi intermedie, / Ventotto, ma soltanto ventisei sono le culle, / In cui l’uomo dev’essere cullato, perché non c’è / Vita umana nel plenilunio o nella luna nuova.”…

  Nicola Sciannimanico, oggi alla sua seconda prova, dopo le tenui, infebbrate preghiere laiche di Un soffio dell’anima (2013), racconta, evoca, anche dipinge, insomma intesse e compone La carezza della luna come una suite dolcemente musicale di 40 liriche, o forse una fedele e affettuosa variazione sul tema, un arazzo elegante e fervido, dove ogni parola è o diventa un filo, un colore a fare e dare armonia – un’armonia sinuosa, rorida di sfumature, gentile perfino in ogni ombra, ma che sempre poi s’assomma briosa e candida, visionaria e finissima…    

  L’eco della luna
  si ode in lontananza
  e lambisce le onde del mare
  che saltellano in segno di festa.

  Poeta/pittore dicevo prima. Ma non come gli impressionisti per signoreggiare, dominare la Luce nel corso di tutto il giorno, registrandone il meraviglioso e rischiarante fenomeno, un’ora dopo l’altra nel corso d’una sola, breve e lunghissima giornata di brevi istanti ed eterne istantànee… (Anche i pittori giapponesi riprendevano decine, centinaia di volte lo stesso punto, la stessa visione – in rotazione e radiazione di luce… “Il monte Fuji” di Hokusai, ad esempio, innevato di bianco o fulgido di sole; e tutta la festevole scuola “Ukiyo-e”, cioè “mondo fluttuante”)…  
  Similmente, anche i poeti innamorati della luce, sempre la rincorrono, la corteggiano, la proteggono e poi quasi l’ingloriano, devoti la rapiscono come musa di cielo soprattutto – ecco il loro piccolo gesto e miracolo di devozione! – quando essa si riposa, s’attenua, sembra fermarsi… dal crepuscolo all’alba, in notte di rinascita.

  Si disperde nel vuoto,
  ma sembra accarezzare le stelle
  in un’oasi di luce,
  dove il sogno si confonde con la realtà.

  Ecco che tutto questo breve, echeggiante libro s’impenna e si sublima come una ininterrotta sequenza – fotografie interiori, palpiti intimizzati, tregue d’ogni respiro – una carrellata di pause, solfeggiati incanti o disincanti, dal tramonto al buio, e ancora e ancora in romantico travaglio di chiarore, esperienza e sentenza di quella dantesca, superna chiarità – forse – che diventa stilnovista virtù di Grazia e rito di Perdono… Un unico, multiforme percorso di purificazione dello Sguardo con cui viviamo, interpretiamo e inquadriamo l’indissolubile, cinematografica “soggettiva” del vivere e vederci vivere, quasi fermare, immortalare il vissuto, ondivago e brevissimo, ma anche peregrinate e saldo, temprato d’aria e di vento, nel bacio stesso dei fiori…

  In una giornata quasi di primavera,
  un soffio di misteriosa armonia
  riapre la via del cielo, smarrita.

  Rapito dal tempo,
  il bacio dei fiori
  sorride alle ombre erranti.

  Ma anche musicista nei versi, coi versi – annoto rincuorato di melodia, attratto da questa fedele, peregrinante ricerca di verità…

  Risuona l’armonia del cielo
  mentre l’anima intona
  un canto di gioia
  …
  Ho udito il suono
  armonioso della mia anima
  guidarmi lungo il viale
  impervio della verità.

*********

  Nicola Sciannimanico non dà appuntamenti oziosi alla Modernità, non rincorre a vuoto il Moderno, le perdizioni aggiornate di tutte le sue mode... Egli insegue semmai ben altre parvenze, essenze e movenze, rarefazioni d’intensità: “… ci sono sperdimenti” – come dice Davide Rondoni, che qui va prefandolo – “in quei ‘bagliori di felicità’, in questi millenari e sempre nuovi sguardi alla luna, e nella memoria che ‘arde’… Le cose appaiono in una luce che pare mostrare l’altrove da cui sorgono davvero”…     
 Gli snodi, i fulcri, i tòpoi di questa lirica sono insomma i concetti del bene e del bello – dell’abbraccio solidale, della condivisione – e poi un continuo irrinunciabile dialogo (appuntamento? – questa volta sì!) col dolore e con la speranza, e la gioia, l’incanto ritrovato, riavverato…

  Il volo libero dell’anima
  si proietta verso il cielo
  mentre la luna mostra il suo volto
  velato di lacrime d’amore.

  Ma il vento soffia e urge, galoppa praterie di spazio e tempo, lande desolate o rifiorite di pensieri e di una pìetas nobilmente umile, come nell’ansia creaturale d’una religio assoluta, primigenia e dolente, munifica e virgiliana…

  Mentre attraversi il dolore
  non riesci a pensare al tempo passato.

  Mentre gioisci nel tuo cuore
  non riesci a dimenticare chi non ha speranza.

  Mentre sogni l’infinito
  non riesci a celare i tuoi rimpianti.

  Vento e luce, fede e destino, un sorriso oltre ogni tristezza… Solitario nei suoi passi, Nicola raccoglie “il volto nei riflessi del tempo, / dinanzi al mare immenso / e al giorno che muore.” E si affida, stilisticamente, a una poesia sinuosa e fervida, riflessiva e devota, che mette sempre al centro del suo investigare, testimoniare, il bivio, il duale inesplicabile ma redento di Dolore e Speranza:

  Il volto della speranza è
  un lampo di luce
  che attraversa la mente
  nel cammino della fede
  e si incunea nel sentiero solitario del dolore.

  Verità è speranza – si ripete ed echeggia –: ma proprio perché tutto il dolore è vero, anzi è fulcro del vero, Verbo e mistero, parola/carne: “alla ricerca di un soffio di verità e di speranza / che possa lenire il dolore dell’anima.”

 “Suasivi e delicatissimi effetti di luna”… “Visioni e riflessioni d’anima” li elogia Bàrberi Squarotti. E in effetti Sciannimanico – oltre il confine e il limite di ogni malinconia, ci conduce di fronte all’immenso, mutevole quadro o affresco della vita, dove il nostro destino è calcinato, intonacato al Muro provvisorio, transeunte del nostro povero esistere, passare – ma l’anima vola dentro i suoi stessi sogni, brilla del ricordo del sole e d’ogni carezza della luna più che un teliero enorme del Tintoretto (quello inarrivabile della veneziana Scuola di San Rocco!), dov’era proprio il buio, la notte mesta a ingentilire, motivare e risvegliarci i colori…
  E se il buio è mistero, ed ogni notte diventa contrito enigma, attesa inesplicata – sempre la nostra luna si fa luce e atto di fede, chiarità decisiva…

  Attendo il mattino,
  il lento risveglio della luce
  e il risuonare dei passi segreti
  per le vie deserte.

  E resto a sognare, nell’oscurità,
  quando anche il vento
  dorme tra le foglie.

  Di otto brevi versi, Nicola fa una sequenza, inquadra il Tempo e gli diventa Spazio – poi lo spazio si perde, annega dentro ogni quotidiano segreto d’intimità, ritorna Sguardo, poesia che si scruta dentro, poi mira lontano un orizzonte che ci appartiene e insieme ci è precluso… Ondivaga e immutabile, la Luna presiede a tutto questo, e ci rammemora forse nei suoi simboli l’umano corso e ricorso della vita, le fasi piene e le attese, le perdite, gli spegnimenti, le accensioni, l’aridità ma anche l’inesauribile fertilità del globo terracqueo, del pianeta di cui è suddita e satellite, sotto il più vasto imperio di Dio e del Sole…
  Nell’iconografia cristiana, la Vergine e Madre di Dio, Maria, viene spesso paragonata alla Luna, oppure raffigurata in piedi o assisa in trono sulla falce della Luna… E davvero potremmo perderci – tra mitologie e religioni – nelle infinite leggende o significazioni di una Luna che, in Occidente come in Oriente, mescolano il divino, l’astrale e il regale, tra scienza dei presagi e misteri della germinazione, riti nonché cicli agrari e dispiegamenti inconsci…

  Ma tutta la poesia è iconografica, principessa o madonna, umile e regale – e veste, celebra ogni aggettivo, ogni dolce movenza aggettivale, o danza dei verbi come una musica che la ricopre, le forma l’abito multiforme dell’eccellenza, con la gentilezza usuale e candida del quotidiano.
  Candida come è la luna. Ammantata di stelle, e forse di promesse…   

  È una dolce illusione,
  seguita, come la luna,
  da un corteggio di nuvole e di stelle.
  La luna ci carezza, e noi l’accarezziamo.

                                                                            Plinio Perilli

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