mercoledì 15 maggio 2013

"Il passato è un luogo lontano": è in libreria la silloge poetica di Franco Celenza

E' uscita la silloge poetica di Franco Celenza "Il passato è un luogo lontano" nelle migliori librerie e nei negozi online.
Il 18 maggio, alle ore 18.00, l'autore leggerà alcune poesie tratte dall'opera, pubblicata nella collana "I Cammei" diretta da Nicoletta Di Gregorio, durante il reading organizzato dalla casa editrice al Salone del Libro di Torino.
Il libro contiene la prefazione di Davide Rondoni, di cui condividiamo uno stralcio:
È un gioiello fosco, un diamante venato di violacei riflessi questo libro di Celenza. Autore e studioso di teatro, frequentatore degli estremi come Artaud e D’Annunzio, ora viene a queste pagine meditate, insonni a tentare la messa in scena più ardua. Il finale, fatale teatro del tempo.
Celenza sa come fermare i versi nella loro linea più tesa, sa come rompere il fiato e riprenderlo.
E con misura piena di forza e di sperdutezza affronta il tema dei temi.
Libro sospeso tra notte e alba, “un breve equivoco il sonno”, ci offre il resoconto durissimo di una lotta. E di una vittoria.
Un uomo che si trova al punto in cui sente “che il tempo ha raggiunto lo specchio” e di avere lontano alle spalle i giorni “biondi” scapigliati, non ritrae lo sguardo e l’orecchio alla voce che nell’ombra di un sorriso mormora: “aggiunte non farai al tuo destino”. Se alle sue spalle vibrano e fiammeggiano i tempi in cui “ancora non crollavano le case/ e i fulmini cadevano lontano”, ora l’autore sa di trovarsi in un guado irrefutabile. E scabro. Ma proprio qui, nel “crollo dei ponti/ dei nostri eterni sempre”, l’anima febbrile e insonne sa di dover compiere il gesto decisivo. Che io ho visto in quella rottura dello specchio, mostrata al centro di due poesie dedicate proprio all’oggetto che riflette il tempo in noi.
In tale gesto – teatralissimo e intimo – Celenza sa di gettare la sfida e cogliere la vittoria per la coda. Il tempo si avvelena nel momento che ci fa credere “protagonisti”, attori che devono rimirarsi come vecchie Cleopatra. E invece no. La poesia è ancora il luogo della rottura dell’io come ego, come vanaglorioso e un po’ grottesco attore coronato da quelle “rose fuori tempo/ come pallidi sogni senza spine”.
Il gesto di Celenza – la rottura dello specchio, e l’analogo gesto del comporre versi – è il guizzo del combattente, quasi al centro di una omerica battaglia, quando sa dove e come colpire il nemico, il guerriero enorme, corazzato, che è il tempo divoratore. C’è per tutto il libro un tremore sottocutaneo di guerra. Senza clamore. Ma violentissima. Questo è il motivo, a mio parere, della sua tenuta e della sua forza. A quel gesto fa da anticipo nel primo testo della raccolta il gesto di una affranta e virile preghiera: “non darmi” ripete più volte il poeta, non darmi, Signore, ancora il passato come qualcosa da dimenticare.
[...]
Per questo senza fare chiasso e senza richiamare con trucchi teatrali la nostra attenzione, il libro riesce a diventarci compagno sul palco più nascosto del cuore. Quello dove va in scena il dramma decisivo.

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