martedì 11 marzo 2014

Archeologia dell’interiorità nei viaggi dell’altrove: la recensione di Grazia Calanna al libro di Nina Maroccolo

Condividiamo l'articolo di Grazia Calanna sull'ultimo libro di Nina Maroccolo "Malestremo", uscito giovedì 30 gennaio sul quotidiano "La Sicilia". 
"Quel battito di foglia su pelle d’organza rendeva erbacea Annette. Ossigenava ogni lembo epidermico di clorofilla, salmo laico, crescente fertile mitralico. Quasi un congeniale atto di fede: selvatico, corinzio, a volte irritante. Ma trasparente. La camicetta che indossava Annette si chiamava Annette. L’anima di Annette era quel battito sempre più vicino all’aggrumarsi fogliante in piena fibrillazione. Faceva vento. Tirava forte in quel mattino d’acqua battente. E l’anima di Annette tempestò malumore mentre s’inurbava nell’omeopatica ritualità giornaliera, infibrata di notti bianche, linde, profumate di candeggina”.
Dal racconto “Annette”, un passo eloquente tratto dal nuovo libro di Nina Maroccolo “Malestremo-Sedici viaggi nell’Altrove”, florida silloge di narrazioni che si muovono, impalpabili, sul ciglio celeste dell’inconoscibile (Ed. Tracce).
L’altrove letterario di Maroccolo, chiarisce Marco Palladini nell’introduzione, segue un solco ostinatamente denarrativo, non c’è alcuna linearità narratologica nei suoi testi, che sono composizioni eterovaganti o extravaganti germinate da uno sguardo integralmente poetico, anzi meglio sofopoetico.
Tracciati di scritture polimorfiche che inanellano pensieri a cascata, considerazioni e cognizioni errabonde su questioni etiche, noetiche, filosofiche, scientifiche, religiose, numerologiche. 
«Vivere il tempo nel mio tempo. Attraverso un tempo non misurabile, tentare un percorso all’indietro per comprenderne l’arcana natura, l’Origine nostra profonda - che già vive postuma. E così, tornare a un presente che è vuoto da riempire, un vuoto che necessita d’essere disturbato e provocato affinché riaffiori pieno allo stato di coscienza», dichiara l’autrice. Percorrendo questo cammino incorporeo, che per mezzo del verbo si spinge oltre le fattezze della parola, sovviene una riflessione di Cioran, il vero contatto fra gli esseri si stabilisce con la presenza muta, con l’apparente non-comunicazione, con lo scambio misterioso che assomiglia alla preghiera interiore. «In un certo senso mi muovo tra reperti archeologici - aggiunge la Maroccolo -. Un’archeologia dell’interiorità, così mi piace denominarla. I fossili fanno il resto: sono le mine, come i miei libri, come anche quest’ultimo, chiamato identità. L’attraversamento del tempo e dello spazio. La storia di un puledro cristologico in “Nitrito d’Argento»; “Musidora”, Musa del surrealismo francese, donna che ho scelto di narrare per spregiudicatezza e genuino candore.
La denuncia e la poetica animale nel racconto “I cani di Pavlov”. E ancora, i bambini di Beslan nel ricordo, “Il Giorno della Conoscenza”. E, non ultima, una sezione dedicata a figure (nelle quali riflettersi) come quella di Jeanne, “So scegliere, scrostarmi, so d’essere un avamposto natante nel sognarmi doppio sogno: avveniristico qui et ora”.

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