martedì 25 febbraio 2014

L'ultima volta di Salvatore Maiorana: la recensione di Lapo Coiro

Condividiamo la recensione di Lapo Coiro sul romanzo di Salvatore Maiorana "L'ultima volta" (Edizioni Tracce 2013), apparsa il 24 febbraio 2014 sul giornale online www.blogtaormina.it:
La Sicilia è stata nel passata e continua ad esserlo ancora adesso una terra di grandi talenti: scrittori, pittori, pensatori, ecc. Su Blogtaormina abbiamo il piacere di pubblicare una nota critica di Lapo Coiro al romanzo L’Ultima volta (Edizioni Tracce, 2013) di Salvatore Maiorana.
Il racconto inizia, e l’autore prende per mano il lettore per condurlo in un viaggio che, fin dalle prime scene, si presenta dipinto a tinte forti e decise in ciò che lo caratterizzerà fino alla fine: il cammino nel reale procede di pari passo con quello interiore.
Lo scrittore diventa gli occhi del lettore, come la forza di un racconto risiede nella potenza descrittiva delle sue immagini. Il sole, la luna, gli astri, il cielo, testimoni silenziosi, ma tutt’altro che inattivi, parlano attraverso i colori che distendono sulle cose e sulle persone, restituendo all’occhio di chi guarda le mille sfumature delle sensazioni della sua anima. I colori e le stagioni della natura cristallizzano i ricordi, e ci comunicano non solo il tempo che passa, ma anche come le emozioni dei personaggi, tanto vive quanto contrastanti, si rafforzino, mutino o svaniscano allo stesso modo dei loro sogni: l’amore che divampa nell’odio, la fede che si fa crudele strumento di ferocia, la speranza che cede all’amarezza della sconfitta interiore.
Nel racconto tutto è posto in piena luce, ragione per cui l’unico stato d’animo non rappresentato nel libro è l’indifferenza, che per antonomasia rispecchia tutto ciò che scolorisce l’anima, negandole la sua più intima profondità.
Il teatro in cui si snodano le vicende dei protagonisti è la guerra, una realtà presentata nella sua assoluta tragicità, senza inutili edulcoramenti, tanto che, più di una volta, i personaggi si addormentano sfiniti, cadendo in un "sonno senza sogni"; i sogni sì, proprio ciò che rappresenta l’unica via di fuga da uno scenario che la nostra umanità rifiuta di accettare, perché in esso si rifiuta di vivere. Eppure spesso, tramite un efficacissimo paradosso, il lettore apprende che l’unica dimensione onirica che la guerra cinicamente concede ai personaggi, è proprio la realtà, così drammaticamente simile al peggiore degli incubi.
E’ proprio a questo punto che l’autore vuole dare un chiaro messaggio: qualcosa dovrà pure salvarsi della nostra umanità, soprattutto quando essa viene costretta nella prigione di una realtà che, di umano, non conserva neppure il ricordo.
In guerra le decisioni di pochi prendono vita nella morte di tanti, quei tanti che l’odio vorrebbe senza nome, senza dignità, considerati indegni persino di sperare.
La guerra più aspra si combatte nei cuori di chi resta, nei testimoni dell’orrore, nelle vedove, negli orfani, nei genitori privati dei propri figli, veri martiri essi, tanto più degni di rispetto quanto meno lo sono coloro che del martirio fanno un cieco strumento di morte e distruzione.
In tempi di guerra le vite che si spezzano ci danno la dimensione dell’immensa tragicità degli eventi, allo stesso modo in cui le vite dei nuovi innocenti che nascono impongono nuovamente il valore della speranza. La guerra è il motivo scatenante di un viaggio introspettivo nell’animo umano dei personaggi, dove si combatte la vera battaglia fra bene e male, speranza e rassegnazione, gioia e dolore, rabbia e comprensione, egoismo ed abnegazione.
L’anima dei personaggi è come uno scrigno che racchiude tesori insospettabili, resi ancora più preziosi dal contrasto con le visioni terrorizzanti che in essa trovano pari diritto di cittadinanza. La chiave per aprire e comprendere questo mondo profondo ed impalpabile è una sola: l’amore.
Nell’amore prende forma la fede di chi chiede al cielo la grazia della fine delle atrocità, quelle stesse atrocità partorite da una medesima fede, divenuta in alcuni malato desiderio di ferocia e vendetta; nell’amore si radica la paura per il futuro sconosciuto che attende i personaggi e le persone che essi amano; dall’amore trae vita la speranza donata da chi fa della propria esistenza uno strumento di altruismo, protezione e dedizione, sentimenti portati fino all’estremo sacrificio da chi, pur di salvare altre vite innocenti, sceglie di rinunciare alla propria; è dall’amore che nasce la paura di perdere la bellezza dei sogni e, al tempo stesso, il coraggio di combattere chi vorrebbe ucciderli.
Tutto ciò conferma una verità tanto semplice quanto poetica: la mano dello scrittore è solo uno strumento che il suo cuore utilizza per parlare ad altri cuori. Le emozioni si incontrano, si infiammano, muoiono per rinascere a nuova vita, in una dimensione in cui regna assoluta colei che nella realtà è spesso imbrigliata dall’egoismo, dalle dittature, dalle convenzioni: la libertà.

Lapo Coiro

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