giovedì 27 settembre 2012

"Animamadre" di Nina Maroccolo: una recensione a cura di Paolo Carlucci

ANIMAMADRE - Viaggio etico di luce sovrana
di Paolo Carlucci (Poeta e critico letterario)

Animamadre, la più recente prova narrativa di Nina Maroccolo, appare testo per molti versi decisivo nell’odierno panorama di scritture spesso esili e dal corto respiro. Epifenomeno della storia del romanzo, italiano sentiero interrotto. In ogni pagina, costruita con stile originalissimo, la prosa si colora sovente di squarci lirici di qualità. Vi spira la tremenda bellezza di un vivere che s’adulta di ragione e di passione. Il pianto e la sofferenza, acute e non di maniera, son prodromo rilkiano di rinascita per una laica, ma numinosa, Euridice come dimostra in esergo Per risalire. Vulnerati di pianto | applausi di ciglia | istupidite di pianto, | liquido pianto: concilio d’acque assorte.

Viaggio etico di luce sovrana, che dall’Ade si genera immensa. È alchimia esistenziale profonda in cammino verso il linguaggio del Sé, maturando con toni altamente drammatici, il sentiero di esseri in fosco, ma pregnante divenire. Sentivo le dita della bimba districarsi dalle mie. Morte che diviene barlume di speranza. La salma nera del serpente si ricompone dopo averne sospeso il dolore, simulata la morte. Vita che nelle tenebre si aurora di veleno, quello del lachesis mutus, che è, nel suo mutare, metamorfosi e cura nel prodigio teatrale di un coro vulvare di voci… Il mutus, altrove definito il terrore dei boschi è sì trappola per cianfrusaglie umane, saetta di certissima morte, Làchesi appunto, ma pure ondivago avanza, impulso fluttuante. Richiamo lucreziano, ad un disfarsi atomo di vita in flusso perenne tra le cose.
Vi è un principio di demolizione-ricostruzione a cui ogni personaggio soggiace. Vita ancora che si fa luce di natura sinistra nel poema del tempo, vento di squame e sale la notte, amplissimo stellato di rinascite. Il coro di voci vulvari, la galleria dei personaggi inferi, sale nel velario di luce che epiloga il romanzo, a quel concilio d’acque assorte, che è vita zenitale di armonia di salute ritrovata lungo disperse vie di un viaggio simil dantesco. E Teresa, la Pubescente, che sa già landolfianamente di morte, è erinni perfetta, tra le sue blatte, un mare, e l’uccello del destino, Fëdor, in cui delitto e castigo si fanno etica. Il daimon del Pietroburghese è qui nume presente e divorante. Teresa è creatura che vola tra due mondi; si lega a Viola, altro richiamo alla poetica di Landolfi. Il romanzo della Maroccolo si dipana così all’unisono quale memoria del sottosuolo e magma di autocoscienza in cui il vissuto si fa storia. Il Bildungroman si rivela in dettagli, spesso decisivi all’intelligenza piena del suo dire, teatrale e visivo felicemente risolto nel fulcro di uno stile, ricco di inserti. Si ammanta di epica che fola vento di vita notturna il ritratto – visione de Il guerriero dalla rotta gola, marezzandosi, dalla Sardegna più arcaica, in cui primordia Animamadre, nuraghe ancestrale di memorie all’ultima Thule, dove nebbia il mare di Wilking Jón, chiarore di stirpe teutonica, che sottende il “fratello” Giovanni, la sua sonora avventura. Sulfurea la storia …

Il DNA italiano lento che risale genoma. Animamadre è anche intensa opera civile, train de vie che binaria il Novecento totalitario, in modo anodino, si pensi allo scurzone di Gramsci, in cui gli orologi degli affetti ticchettano importantissimi nell’antropologia della sua scrittura, che trova inquieta la sua pace e un poco s’ordina, forse, sulla pagina. Niente di teologico, dice la Maroccolo, piuttosto la parola d’ordine è Karunā, Compassione. È sacralità creaturale che attinge dalla putredine … Una ostinazione verticale. Sulfurea la storia … e nello sfacelo del Tempo, urlo sublime di vocali chiuse, la Sardegna è un’infanzia all’ombra della Legge della Famiglia-Stato-Padre. In un ventre ctonio vivono morti a se stessi i personaggi, da Teresa a Carmela. Di quest’ultima, splendido cammeo letterario, mirto di memoria di sottosuolo, la Maroccolo fa la protagonista assoluta de la parabola della donna di pece. Polvere di follia sin dal primo sostantivarla personaggio Lei era Carmela: fuoco e disordine, dopo averla manzonianamente presentata. Carmela: vent’anni, pelle oliva, due trecce nerovestite simili a rondini sacerdotali nello scatto del volo. Gertrude dei vinti, Carmela, nata dal ventre accigliato di donna Maria, ha le stimmate della femme fatale, ma selvaggia pastorale, ventre notturno dal quale riemerse creatura di carne. Fuoco che accende le vampe mercuriali dei maschi tra le quali ella guizza Perelà di desiderio in volo verso la notte che tutta la dice libera, sola e tremenda, ma il clichè naturalistico di un’etnologia di scrittura è abilmente aggirato dall’autrice che fanala, invece, sulla psiche profonda, sul dramma della donna di ogni età, maschera nuda di un Novecento di corpi silenziati ed offesi da fedi e soprusi. 

Carmela, Teresa e Viola, son volti di Nina che in un notturno vive lacrime di speranza, bardo di un disfatto vento di memorie, l’anello degli anni e il romanzo gemma d’inverno. È pianta e pianto di parole, lunaria che s’accende. Sempre la parola di Nina! E di Gramsci rivela l’arcaico scurzone, il politico, l’impegno, l’inverno di Mosca si fanno favola mefitica, Farsaglia lontana di serpi, ma all’unisono metafora di un pezzo di storia Unità sarda e non solo.

Va infatti evidenziato come nello sciabordare del tempo la storia privata orologi quella, potenzialmente, di tutti, epica collettiva, sociale ed archetipica la scrittura della Maroccolo, ubertosa di ricordi, scopra nell’amalgama narrativa orizzonti di forte interesse, non solo narratologico, ma vieppiù esistenziale, cui ella attinge orficamente dallo scrigno della propria poesia pensiero di un’Ade di vita concessa come pienezza dal crotalo muto, creatura di una notte d’acqua, che nel sonno fatale insinua una volontà di risalire al muschio della scrittura.

Nina Maroccolo è nata a Massa nel 1966. Cresciuta in Sardegna da bambina, approdata a Firenze nel ’75 – dove ha studiato Arte e Musica – vive e lavora a Roma dal 2004. Scrittrice, performer, artista visiva – è curatrice di libri e antologie. Ha fatto parte della casa discografica CPI (Consorzio Produttori Indipendenti, Firenze), responsabile dell’Associazione Culturale “Il Maciste”. Ha partecipato a trasmissioni su RAI1, RAI2 ed altre emittenti televisive.
Pubblicazioni: Il Carro di Sonagli (City Lights Italia 1999); Annelies Marie Frank (Empirìa 2004 – 2a ed. 2009), con prefazione di Alda Merini; Firenze-Roma (Pulcinoelefante 2004); Documento 976 – Il processo ad Adolf Eichmann (Nuova Cultura 2008), a cura di Fabio Pierangeli; Malestremo (Le Reti di Dedalus 2008), a cura di Marco Palladini; Illacrimata (Ed. Tracce 2011), con prefazione di Paolo Lagazzi.
È presente in numerose antologie.

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