lunedì 16 gennaio 2012

"La radice del mare" di Maria Luisa Spaziani: una nota critica di Ninnj Di Stefano Busà

Una raccolta compatta e armoniosa, come solitamente sono tutte le sillogi poetiche di Maria Luisa Spaziani. La poesia dell’autrice si snoda attraverso itinerari di luci e ombre e s’incanala in una metafisica che ha le caratteristiche di una filosofia del cuore.
La ricca produzione poetica ne è una dimostrazione di fede, sempre fedele al filone del neorealismo romantico che ha segnato tanta parte della sua carriera letteraria.
La poesia di questa raccolta è incentrata sul mare, sulla natura, sui miti di una trasposizione lessicale che hanno determinato e resa celebre la sua vicenda culturale e umana.
Una poesia la sua, che sarebbe alquanto limitativo definire o etichettare come poesia di un solo “filone” letterario, Maria Luisa Spaziani ne compendia molti e tutti interessanti, tutti percepiti all’insegna di un linguaggio scarno, coerente, molto vicino alla intelligenza del cuore, pure se la ragione o la filosofia della vita vi fanno capolino in una indiscussa parabola di tempo, di scienza e fantasia. L’immaginazione della Spaziani è figlia del suo tempo, ne umetta episodi di luce, ne persegue punti ineludibili di religioso stupore, di riflessione, di appassionato fervore lirico.
Il mare come tema della ciclicità risorgente, delle maree del cuore, della trasformazione e rinascita, della purificazione, della contemplazione è l’argomento dominante di questa sua ultima raccolta. In esso va riletto l’eterno ciclo vitale, che ridisegna la ricchezza dei valori perenni, racchiude l’evento evocativo in una parabola di vita, di avventura, di suggestione. Vi sono pagine di grande conciliazione fascinosa e lirica, ascrivibile all’endecasillabo a cui spesso l’autrice si ispira in una trasparenza quasi religiosa che sostanzia e fortifica il grande mistero della natura-madre-serena.
Ne “La radice del mare” si avverte il linguismo della Spaziani, a cominciare dal suo gioioso canto che introita nella natura stessa il suo apogeo referente e assorto, indicativo di una rinascita, quale è sempre il flusso e il riflusso della sua poetica.
A mio giudizio, però, in quest’opera c’è un sommovimento d’anima che dà ulteriore vigore alle immagini, le fa vorticare in un turbinìo d’ali di alto lignaggio lirico, proprio come si addice ad una veterana della poesia quale è la Spaziani.
Il verso è come sempre sciolto e sonoramente raccolto in un alveo di biografismo lessicale ricercato e felicemente risolto. L’esito finale di ogni testo è perfetto, come in tante altre opere precedenti, In scansioni rapide e chiare, quasi fulminanti, come si caratterizzano da sempre, nelle numerose sue opere, a cominciare da “Le acque del sabato” 1954, a “L’utilità della memoria” 1966, a “L’occhio del ciclone” 1979, “Geometria del disordine” 1981; La stella del libero arbitrio”, 1986; “La luna è già alta” 2006; per giungere a questo suo ultimo lavoro che ridefinisce il suo lungo percorso letterario con una strategia lessicale di indiscusso valore.


Ninnj Di Stefano Busà

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